Questo singolare esercizio fisico cinese è ormai conosciuto anche in Occidente grazie alla bellezza e alla completezza dei suoi movimenti. Il taijiquan, tuttavia, non è solamente una ginnastica dolce e divertente da fare per ritrovare un momento di serenità. E’, anzi, un validissimo strumento di prevenzione e di cura ampiamente riconosciuto dalla medicina cinese contro l’inevitabile decadenza fisica e mentale dovuta alla severità del tempo biologico. Infatti, il taijiquan in origine era una scuola di arte marziale molto efficace e molto stimata, frutto di una lunga ricerca degli antichi e grandi maestri cinesi; una ricerca appassionante su come ottenere una giusta e desiderata efficienza psicofisica da un corpo umano in movimento. E’ una disciplina molto versatile: può essere praticata come un’arte marziale estremamente nobile e difficile, oppure come una ginnastica curativa e preventiva alla portata anche degli anziani, per cui è praticata da persone di tutte le età e in tutti gli ambienti. E’ costituito di diverse serie di sequenze in cui il corpo, in perfetta armonia con la mente e il respiro, si produce, lentamente ma irresistibilmente, in continue trasformazioni di bellissime forme e movimenti di figure diverse. I più appassionati sanno anche che è importante l’influenza “energetica” ambientale di determinate ore, per cui si può vedere in Cina (ma ormai anche in Occidente) la pratica del taijiquan nel parco, all’alba, per “sentire” la vita mescolandosi con i primi e teneri raggi solari, mentre i movimenti del proprio corpo sono quasi in sintonia con quello del sole che sorge. Il taijiquan, in un certo senso, è un disegno virtuale, tracciato con il corpo reale, bello da vedere e affascinante da eseguire. Alcuni lo praticano perché è arte marziale, altri lo praticano proprio perché non lo è. E’proprio questa contraddizione la ragione del suo fascino e della sua vitalità. Insistere su un aspetto o sull’altro vuol dire non tenere in considerazione la storia e lo sviluppo del taijiquan. Ma più importante ancora è non tenere in considerazione la sua dinamica che è tutta basata sulle contraddizioni. Viene fatto di pensare alla contraddizione feconda tra lo yin e lo yang che è la causa e, al tempo stesso, la conseguenza delle diecimila cose della vita. Il taijiquan è il frutto delle contraddizioni tra la durezza e la morbidezza, tra la visione globale e la visione del particolare, tra la continuità nel tempo dilatato e la totalità in un istante, tra il pieno e il vuoto, ecc. Da questo gioco delle contraddizioni nascono quelle caratteristiche della dinamica delle “figure”, ad esempio: il principio della immediata alternanza, l’appoggio vero e finto dei piedi, la focalizzazione e il moto a spirale delle forze, il costante coinvolgimento del torace e dell’addome nel respiro, la scioltezza delle spalle e la forza gravitazionale dei gomiti, la sintesi della “figura” nella decisione dello sguardo, la distinzione delle otto forze e così via. Tali dinamiche sono recuperate da un ramo delle antiche arti marziali noto come Neijiaquan, cioè stile interno o tecniche di combattimento basate sulla convinzione interiore più che sulla concentrazione esteriore, sul dominio di sé più che sulle sollecitazioni delle proprie forze, sulla forza nascosta nella morbidezza più che sulla potenza evidenziata nei colpi, sulle curve neutralizzanti più che sulla rigidità devastante, sull’altra persona come soggetto dell’incontro più che sull’altro come oggetto dello scontro. Come si vede, c’è più coltivazione “interiore” attraverso il corpo che costruzione del corpo attraverso volontà forzata. Se tutto questo deriva dalle arti marziali il suo modo lento e calmo dell’allenamento ne fanno un ottimo metodo di yangsheng, ovvero “nutrire la vita”, cioè un insieme di metodologie per prolungare la vita o per migliorare la sua qualità. Questo consiste nel miglioramento delle strutture (come i legamenti, le articolazioni, i fasci muscolari ecc.) e delle funzioni (come la circolazione, la digestione, il metabolismo, la respirazione ecc.) e contemporaneamente anche un miglioramento dell’equilibrio della freschezza mentale. È riduttivo, quindi, vedere il taijiquan come una pura arte marziale o come una semplice ginnastica danzata con tanti cerchi e tante curve liberamente fantasiose. È forse divertente, ma non è utile, se non si comprende l’importanza delle contraddizioni. D’altra parte, il nome stesso è una contraddizione: taiji è un concetto cosmico-filosofico che richiama l’idea di pace, di armonia e di vita; mentre quan sta per “pugno” cioè potenza e violenza. Anche la storia del suo sviluppo è una contraddizione: da quell’arte marziale nobile, difficilissima e riservata a pochissimi ad una disciplina della salute per chiunque, anche per i malati. Quindi, anche i praticanti stessi sono una contraddizione, ma una contraddizione che va vista necessariamente nell’ottica costruttiva della fecondità tra lo yin e lo yang – cioè l’incontro delle diversità – e nell’ottica positiva della libertà dell’uomo. Un’altra discussione piuttosto comune è quella sulle origini del taijiquan. Si cita spesso il nome di Zhang Sanfeng come il fondatore, ma questo non è esatto. Zhang era un importante e mitico personaggio del taoismo che ha sicuramente detto molte cose sull’esercizio del corpo. Ma taijiquan si riferisce storicamente a un tipo di arte marziale ben preciso. Vediamo ciò che sul taijiquan è storicamente provato. A cavallo dell’ultimo periodo della dinastia Ming e l’inizio della dinastia Qing, nel 17° secolo, cominciarono a svilupparsi in modo sistematico e “scientifico” – perché richiesto dalle truppe imperiali – tutte le tradizioni delle tecniche di combattimento. Tra queste, vi erano soprattutto quelle dello “stile interno” (nel senso che le forze e le caratteristiche di una tecnica venivano “interiorizzate” o sviluppate internamente al punto tale da sembrare debole esternamente). Tra i personaggi di quell’epoca spiccano:
Chen Wangting, un generale dell’impero Ming. Setacciò quel lavoro di sistemazione delle arti marziali dei suoi predecessori e unendolo alle sue caratteristiche personali, e aggiungendovi poi anche i concetti della medicina tradizionale cinese, creò una serie di tecniche denominate taijiquan. Era un genio e fortissimo nei combattimenti, e questa tecnica, oggi è chiamata taijiquan stile Chen. Lo si può considerare il capostipite di tutti gli stili di taijiquan. Deluso degli ultimi anni della dinastia Ming, Chen alla fine insegnò solo ai membri della sua famiglia, per cui questa scuola rimase nascosta per lungo tempo.
Dong Haichuan: inventore del baguaquan, un’altra grande scuola “interna”, con complicati spostamenti del corpo capace di “danzare” in mezzo a più avversari senza essere toccato.
Yang Luchan (1797-1872), allievo di Chen, rese ancora più morbidi e rotondi i movimenti di Chen. Era così bravo e famoso che il suo modo di combattere veniva chiamato “taijiquan stile Yang”.
Dalla decadenza della dinastia Qing all’inizio della Repubblica, la Cina ha vissuto un periodo importante di svolta storica, non solo per il cambiamento all’interno del paese ma anche per il contatto “ravvicinato” con le potenze straniere, soprattutto quelle occidentali. Con l’introduzione delle armi da fuoco, le arti marziali non erano più una specialità privilegiata dei militari. C’erano tuttavia ancora i famosi leitai, una specie di ring pubblici dove i campioni si combattevano rischiando la morte, per un problema di sfide, di onore, di conflitti personali ecc. Salivano sul leitai anche gli esperti stranieri. Anzi, in quell’epoca di dominio delle potenze occidentali erano proprio gli stranieri (europei ma anche giapponesi) che lanciavano le sfide. In alcuni casi erano delle sfide accompagnate dalla dimostrazione della maggiore statura o della maggiore muscolatura dei campioni stranieri, e condite anche da insulti verso i cinesi considerati come un popolo di “fumatori d’oppio”. Naturalmente, quando si tocca l’onore di un popolo o di una nazione, e per di più in casa propria, anche le persone che volevano rimanere nell’anonimato venivano allo scoperto. Inoltre, questi stranieri, che dimostravano la durezza e la potenza muscolare, erano proprio un “pane” allettante per le tecniche morbide della scuola “stile interno”. Qui sotto, riporto un breve elenco di personaggi storici. Sono una parte di quegli ultimi eroi sicuramente dotati di grande personalità che, per le loro imprese memorabili di combattimento sul leitai contro gli stranieri o gli stessi sfidanti cinesi sono citati sui libri di storia delle arti marziali cinesi e alcuni di loro (Sun e Wu) sono divenuti anche i fondatori dei rispettivi stili di taijiquan1. Il taijiquan, dopo un lungo periodo di “vagabondaggo” tra la popolazione dell’immensa Cina, sta ora vivendo un periodo di una risistemazione e codificazione ufficiale, perché nel frattempo è divenuto anche una disciplina molto apprezzata dalla medicina.